lunedì 7 febbraio 2011

Il mestiere del parlare

Spesso vivendo a contatto delle persone, parlandoci molto assieme, si ha come la sensazione di conoscerle benissimo e di intuire quasi la fine della frase quando la iniziano. Si pensa addirittura di poter carpire l'umore quando si legge una lettera stringata e ci si sente autorizzati a sapere cosa intendono o hanno inteso con una certa frase.


Questo spesso è confuso col dialogo, ma in realtà non lo è. Il vero dialogo è fatto di ascolto più che di parlato, un ascolto attivo dove si cerca di capire cosa dice l'altro e non lo si prevarica coi nostri pensieri. Un dialogo dove il nostro interlocutore va fatto sentire a suo agio di modo che possa esprimersi liberamente e al meglio.


A volte certi discorsi possono accendere gli animi, niente di più facile. In quei momenti tutto diventa più complicato perchè la tendenza di ognuno è quella di avere ragione sull'altro e i modi per ottenerla si fanno più arroganti man mano che gli animi si infiammano; l'ascolto diventa un optional, tanto si pensa di sapere benissimo cosa l'altro ha da dire e perchè lo dice, quindi finisce e finisce anche il dialogo, così' come la possibiltà di capire veramente e di trovare una soluzione.

A quel punto serve una dote difficilissima da avere, la capacità di riconoscere che si è alterati e che non necessariamente stiamo dicendo le cose giuste, magari vere, ma non giuste da dire.
Non è neppure chiudendo bruscamente un discorso che si riporta il dialogo ai giusti toni, si causa solo un innalzamento della rabbia della persona a cui si è impedito di ribattere. A volte però non è possibile fare altrimenti.


E' complicato avere un dialogo, specie su argomenti che coinvolgono personalmente. Serve molta pazienza e voglia di trovare una soluzione, senza iniziare la caccia alle colpe e il gioco dei rinfacciamenti, oltre alla capacità di mettersi in discussone e auto analizzare la correttezza delle proprie idee.
Serve l'intelligenza e la freddezza di porsi la domanda: "ma se a me trattassero così come io sto trattanto l'altro, non reagirei come lui?"
A volte far finta di vivere sulla propria pelle quel che si fa vivere all'altro ci aiuta a capire che forse dovremmo cambiare qualcosa nel nostro parlare.

2 commenti:

  1. Come hai ragione...ma è molto molto difficile farlo. Il gioco delle colpe e dei rinfacciamenti viene così facile mentre per stare calmi bisogna fare un grande sforzo, chissà perché? Chissà perché la nostra naturale tendenza va verso un comportamento negativo e non verso uno positivo...
    Complimenti per il blog! Ti seguo!

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  2. Grazie mille cara, non mancherò di seguire il tuo, inoltre sei pure la prima follower...evviva!

    Perdere le staffe è cosa che capita a tutti, e iniziare quei malsani giochi anche quello è cosa che abbiamo fatto tutti. Ma c'è una possibilità di uscirne, e questa possibilità ce la dà la nostra capacità di controllarci, di porci giudici di noi stessi. Nella rabbia è complicato, ma è lì che va fatto.
    Se dovesse capitarti prova a fare questo esercizio: ti stai arrabbiando, o lo sei già. Improvvisamente ti sforzi a pensare ad un'altra cosa, per un solo secondo, in quel momento sei distratta e poni nella tua mente, l'importanza che ha la persona a cui volgi la tua rabbia. Si verificherranno 2 casi:
    1. la persona è per te importante, allora cercherai di non perderla o perdere la sua stima
    e ti calmerai perchè vedrai con chiarezza la direzione devastante della rabbia
    2. la persona non è importante, allora ti chiederai "perchè spendo tante energie per una persona di cui non mi importa niente?"

    Provaci ...
    Un abbraccio e grazie ancora.

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